Nel corso di una recente omelia Papa Francesco ha accennato in modo un po’ generico alla conflittualità tra giovani e vecchi rispetto alla possibilità di accedere al lavoro. Non mi permetto di criticare il pensiero di Francesco, ma colgo l’occasione per intervenire su un tema di grande importanza da vari punti di vista ed ancora largamente controverso. Il problema dell’accesso al lavoro è, infatti, uno dei più gravi del nostro tempo, caratterizzato da una riduzione della quantità disponibile a causa della crisi economica e dall’introduzione molto rapida di nuove tecnologie, la cui ricaduta è ancora incerta.
Il lavoro dà significato alla vita di ogni persona, indipendentemente dall’età, non solo per motivi economici. Infatti la persona senza lavoro soffre, perché si sente inadeguata a contribuire alla equilibrata crescita comune della sua comunità, a vari livelli, iniziando dalla famiglia di appartenenza. Nel caso dell’anziano ha un valore ancor più forte, perché, in presenza di una diminuzione di molte altre situazioni vitali, lavorare è importante per non farsi dominare dal tempo che scorre e dalla sue ricadute negative. Il senso della vita, ad ogni età, è per una buona parte dipendente dal riconoscimento esterno all’individuo; solo i santi e i geni sanno trovare al loro interno le motivazioni importanti per dare significato alla propria esistenza.
Però sono solo i santi e i geni...!
Il momento del pensionamento è sempre delicato, perché molti e variegati sono i fattori, che concorrono a ristrutturare una giornata precedentemente dominata dal lavoro; sono in gioco aspetti fisici, psicologici, sociali, economici, organizzativi. La pensione è per molte persone un tempo di crisi, anche perché, nonostante molta enfasi teorica sul tema, pochi si sono preparati all’evento, che si infrange sugli stili di vita, trasformandoli completamente, con conseguenze che spesso sfuggono al controllo dello stesso individuo. È un momento da accettare con realismo, quando è ineluttabile; però con altrettanta attenzione si devono evitare le tentazioni di abbreviare il tempo di lavoro, sotto la pressione di situazioni particolari.
Una considerazione a parte hanno, infatti, i lavori usuranti, sia fisici che psicologici, che dovrebbero durare il minor tempo possibile, per non danneggiare la salute dell’individuo. Il pensionamento è una fase della vita dell’individuo, che induce un allontanamento dalle dinamiche vitali più forti; questo rischia di limitare il proprio spazio sia fisico che psicologico, riducendo, di conseguenza, sia l’attività fisica che mentale. Se è chiaro da una grandissima quantità di studi scientifici, sia sul piano biologico che clinico, che l’attività psicofisica mantiene giovani, rallentando i processi di invecchiamento, con importanti ricadute sull’attività funzionale, allora il pensionamento deve essere gestito con delicatezza. Però, partendo da questa realtà, il dibattito sul mantenimento al lavoro degli anziani assume un’importanza, che va al di là della presunta esigenza di sottrarre spazio alle generazioni più giovani. È una vicenda, che riguarda una parte sempre più numerosa dei nostri concittadini, quindi non può essere scordato il valore sociale di un cambiamento, come quello che sarebbe indotto da uno spostamento dell’età pensionabile.
Un’altra considerazione riguarda il fatto che, secondo molti studiosi, non vi è corrispondenza tra la riduzione dell’età pensionabile e la creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani. Infatti le competenze delle persone più anziane sono diverse da quelle delle altre generazioni; questi ultimi hanno una base tecnologica, acquisita nel tempo, che rappresenta un valore irrinunciabile per il mondo del lavoro. Gli anziani, invece, hanno sensibilità e capacità uniche sul piano di conservare competenze, che costituiscono un ponte tra il lavoro manuale dominante fino a 30 anni fa e la tecnologia, che si è fatta spazio negli anni più recenti. È, quindi, chiaro che nessun vecchio ruba il lavoro a nessun giovane; è, allo stesso tempo, ben noto che la conservazione del lavoro è importante per gli anziani. Ma la disoccupazione giovanile, evento drammatico, con conseguenze umane e psicologiche devastanti, non ha nulla a che fare col ruolo delle persone di età avanzata nel mondo del lavoro.
Che fare quindi? Prima di tutto occorre sdrammatizzare la problematica a livello sociale, anche per evitare che crescano situazioni spiacevoli e si diffonda un’atmosfera di “ageismo” attorno alla vita dell’anziano ed al suo ruolo nella comunità. Allo stesso tempo è doveroso convincere i giovani che il problema del pensionamento anticipato o meno non li riguarda e che le loro prospettive nel mondo del lavoro non derivano da questo. Una società equilibrata non stimola competizioni tra età, ma cerca di costruire un’atmosfera generale, nella quale ogni gruppo partecipa attivamente al bene comune. Un sogno? In questo momento chi scrive preferisce sognare, perché la nostra convivenza civile ha bisogno di pace e non di conflitti dannosi per tutti, peraltro senza fondamento concreto.
Marco Trabucchi
(Gruppo di Ricerca Geriatrica - Brescia)
in collaborazione con ProfiloSalute
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